La psicosomatica (psiche
– soma) pone in relazione la mente con il corpo, ossia
il mondo emozionale ed affettivo (psiche) con il soma (il
disturbo), interessandosi di rilevare e capire l'influenza
che l'emozione esercita sul corpo.
Il nostro IO quando non riesce a fronteggiare le difficoltà
della vita attraverso delle azioni di cambiamento usa un linguaggio
arcaico ovvero quello del corpo.
Ecco allora che il sintomo va decodificato.
Nella sua accezione etimologica la parola sin-tomo significa
“accadere con”, per cui come il medico di fronte
al sintomo della febbre indaga per individuarne la causa lo
psicoterapeuta deve chiedersi cosa c’è dietro
al sintomo.
Il sintomo è un adattamento creativo prima utile che
adesso non lo è più.
Il sintomo ha una doppia funzione:
1. permette al problema di esprimersi;
2. tenta di risolvere il problema.
Il sintomo fisico della febbre, ad esempio è espressione
che l’organismo è attaccato da un virus (prima
funzione), alzando la temperatura corporea l’organismo
uccide la maggioranza dei virus (seconda funzione). E’
importante per il terapeuta tenere presente questa doppia
funzione del sintomo senza dimenticarsi che il sintomo ha
una intenzione terapeutica.
Di fronte ad una situazione di conflitto se la persona non
affronta la sofferenza, negando quindi il conflitto, crea
una situazione di sospensione che trova inevitabilmente altre
strade.
Il conflitto è la compresenza di due forze contrarie
qualcosa vuole esprimersi e contemporaneamente c'è
una forza che impedisce quell'espressione: il sintomo diventa
il portavoce di tale situazione.
Ogni persona è in grado di fabbricare sintomi, è
la persona che crea il sintomo e non il sintomo che etichetta
la persona. Nell’individuo sano quando il sintomo ha
compiuto la sua funzione di autoregolazione sparisce in modo
spontaneo. Il sintomo diventa disfunzionale quando la persona
non può più farne a meno per esistere. Così
deve sempre avere la febbre a 40° invece di alzarla e
poi abbassarla.
Il sintomo è la sintesi di due aspetti: una intenzione,
un senso e un comportamento. Se si toglie solo il comportamento
la persona è obbligata ad inventarne un altro che “riequilibria”,
ma che spesso si rivela un comportamento ancora più
patologico.
Thomas Mann nel romanzo “La Montagna Incantata”
mostra come la malattia è, per il protagonista della
storia, ansia di conoscenza e ricerca di umanità, è
poter tentare di dare significato alla propria malattia e
alla propria sofferenza e dove sia possibile ritrovare se
stessi.
“…..perché l’imperio dell’amore
non può essere imbavagliato, violentato, l’amore
represso non è morto, ma vive e nella tenebra, nel
segreto profondo cerca sempre di attuarsi….. E quale
è mai la forma, la maschera sotto la quale ricompare
l’amore non ammesso e trattenuto? Così domandò
il dottor Krakowski facendo scorrere lo sguardo lungo le file
come se aspettasse davvero la risposta dai suoi ascoltatori…..Nessuno
lo sapeva tranne lui, e lui gli si leggeva in faccia avrebbe
dato anche questa risposta….. Le donne trattenevano
quasi il respiro. L’avvocato Paravant si scosse rapidamente
ancora una volta l’orecchio affinché al momento
buono fosse aperto e capace di afferrare. E a questo punto
Krokowski disse: “Sotto la maschera della malattia!”.
Il sintomo morboso, disse, sarebbe attività amorosa
camuffata e ogni malattia amore trasmutato”.
Nel lavorare con il sintomo il terapeuta deve ragionare in
modo astratto in quanto non c’è una lista di
sintomi correlati con un tipo di disagio (ad esempio l’eczema
significa che la persona ha il tal problema!). Ma proprio
in quanto il sintomo rappresenta la quintessenza della creatività
della persona il terapeuta deve essere a sua volta creativo
nello stare con quanto il paziente porta.
Il terapeuta deve anche interrogarsi sulla localizzazione
del sintomo: ha un significato il fatto che un sintomo si
manifesti in una zona del corpo piuttosto che in un'altra?
È importante considerare il contesto relazionale o
emozionale della persona che “sceglie” quel dato
sintomo.
L’unico che può capire il senso del sintomo è
il paziente, significativo è il paziente che cambiava
i terapeuti in quanto ognuno gli dava un senso che però
non era significativo per lui.
Il sintomo dà informazioni su come il soggetto contatta
il mondo.
Un altro aspetto molto importante del sintomo è il
suo carattere relazionale, dice qualcosa a qualcuno, ha un
destinatario: dice agli altri quello che la persona non riesce
a dire, in modo consapevole, e contemporaneamente li manipola
senza quindi assumersi le proprie responsabilità.
“Per me è nevrotico qualsiasi uomo che usa il
suo potenziale per manipolare gli altri invece di crescere
egli stesso. Prende il controllo, il potere gli dà
alla testa e mobilizza amici e parenti in luoghi dove è
incapace di usare le proprie risorse. Si comporta così
perché non può reggere tali tensioni e frustrazioni
che il crescere comporta. E anche rischiare è rischioso
troppo spaventoso per essere preso in considerazione”
(Perls, 1991, 31).
Diventa fondamentale valutare il contesto relazionale ed emozionale
del sintomo, poiché ci dà molte informazioni
su come la persona contatta o non contatta il mondo.
A volte il senso del sintomo è legato alla storia familiare,
ad una modalità di risolvere i problemi.
In conclusione si può affermare che le malattie psicosomatiche
sono quelle che più strettamente realizzano uno dei
meccanismi difensivi più arcaici con cui si attua una
espressione diretta del disagio psichico attraverso il corpo.
In queste malattie l'ansia, la sofferenza, le emozioni troppo
dolorose per poter essere vissute e sentite, trovano una via
di scarico immediata nel soma (il disturbo); non sono presenti
espressioni simboliche capaci di mentalizzare il disagio psicologico
e le emozioni, pur essendo presenti, non vengono percepite.
In genere il paziente psicosomatico si presenta con un buon
adattamento alla realtà, con un pensiero sempre ricco
di fatti e di cose e povero in emozioni. Per meglio chiarire
si tratta di un paziente che difficilmente riferisce sentimenti
quali rabbia, paura, delusione, scontentezza, insoddisfazione.
Spesso si tratta di pazienti che hanno difficoltà a
far venire alla luce emozioni, che separano dalle cose ogni
elemento di fantasia . Tutte le loro capacità difensive
tendono a tener lontani contenuti psichici inaccettabili,
a costo di distruggere il proprio corpo. In questo senso una
persona, incapace di accedere al suo mondo emotivo, potrebbe
non percepire rabbia, frustrazione o stress per una difficile
condizione lavorativa e neppure immaginare una possibile connessione
tra la sua ulcera e le emozioni o i vissuti relativi al suo
lavoro.
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